| Gas III |
| | CITAZIONE CITAZIONE C hapter Two >> Una sola persona ebbe l'onore di ricevere l'appellativo di Sensei da me...fu colui che mi forgiò così come sono ora...e ancora gli sono debitore...mi ha reso da ammasso di pasta lievitata a filante rotolo al formaggio...non so perchè proprio al formaggio, forse perchè mi piace tanto, ma non importa...fatto sta che mi trovo ancora a fare l'Accademia, luogo predestinato a persone la cui dote, o abilità in certi casi, di ruolare è scarsamente producente...e questo fatto mi fa sentire pezzente...quindi, dimostriamo una volta per tutte che io e Accademia siamo come Buio e Luce...ci separa quell'artistica e sottile linea, detta...Interruttore *ç* Dimostriamo come Certe persone sono meglio di Altre CITAZIONE Bertolt BrechtLode dell'Imparare Impara quel che è più semplice! Per quelli / il cui tempo è venuto / non è mai troppo tardi! / Impara l’abc; non basta, ma / imparalo! E non ti venga a noia! / Comincia! devi sapere tutto, tu! / Tu devi prendere il potere. / Impara, uomo all’ospizio! / Impara, uomo in prigione! / Impara, donna in cucina! / Impara, sessantenne! / Tu devi prendere il potere. / Frequenta la scuola, senzatetto! / Acquista il sapere, tu che hai freddo! / Affamato, afferra il libro: è un’arma. / Tu devi prendere il potere. / Non avere paura di chiedere, compagno! / Non lasciarti influenzare, / verifica tu stesso! / Quel che non sai tu stesso, / non lo saprai. / Controlla il conto, / sei tu che lo devi pagare. / Punta il dito su ogni voce, / chiedi: e questo, perché? / Tu devi prendere il potere. P reludio Porco Kannon, con tutto il rispetto parlando, ancora una volta mi ritrovo nell'Accademia...dovrebbero mettere la regola generale in ForumCommunity che obblighi ogni GdR a darmi direttamente il Diploma Accademico ù.ù insomma, che figura ci faccio...con tutte le Fan che mi seguono da casa [che salutiamo con un Bacio :*], eh, insomma...vabbè...vediamo di sbrigarcela in fretta dimostrando una volta per tutte chi è Gas...poco Preludio, tanto Post...Narrato Parlato << Pensato >>
Ora della Tigre. Periferia Ovest di Kirigakure, terzo quartiere a Sud dalla Porta Occidentale. Terza casa dopo il secondo svicolo della strada principale; dimora di una delle famiglie della Casta di Jashin. Apparentemente molto vecchia, un monumento, degno di ammirazione. Una piccola strada lastricata divideva in due un giardinetto zen posto di fronte all'edificio, recintato da un'alta ringhiera di fitto bambù, che distanziava di 12 metri le camere dal marciapiede. Oltre il portone rosso tipico dei templi si intravedeva un palazzo di due piani, con il tipico tetto con gli angoli arricciati rossi ascesi da dorati dragoni. Murata colore panna, decorata di legno rosso. Piccolo porticato di sei colonne incorniciava un marciapiede di legno che sporgeva di alcuni metri oltre il muro principale. Sulla facciata, enorme porta in legno rosso laccato e due finestre, una su ogni lato dell'uscio, per il primo piano, solo quattro finestre per il secondo piano. Tutti gli scuri aperti tranne per l'ultima a sinistra del secondo piano. La famiglia aveva un figlio. E con tutta la probabilità esistente quella era la sua camera. Un ragazzino di dodici anni, già dedito al culto della Divinità e adepto promettente del Kuji-Kiri Ryu. A quell'ora di mattina il ragazzo era già sveglio. La camera-tatami, ampia 60 metri quadri, aveva le pareti bianche. Una porta shoji si apriva sulla sinistra del muro opposto alla larga finestra rossa, rilucendo su un pavimento di legno, fatto solo di assi, colla e chiodi di legno, come maggior parte della casa d'altro canto. Di fianco alla porta shoji, un grosso armadio a muro con le ante in legno. Al centro della stanza, un grosso futon, con le lenzuola arruffate su un angolo, ancora calde e pregne di umida vita. Nella camera tutti questi colori erano spenti sotto una cupola di buio. La figura del ragazzo, che doveva avere la padronanza della realtà nella camera, era all'incirca 2 metri diagonali con un angolo di 50° dalla finestra. Era retto in piedi, in posizione di riposo, con le braccia lungo i fianchi. Indossava un yukata nero cinto da un obi bianco, scalzo, con le mani albe che uscivano dalle lunghe e larghe maniche, e le palpebre semichiuse, a celare quasi completamente uno sguardo vitreo e perso nel vuoto.
" ... Era un'atmosfera strana. Si viveva solo di umidità lungimirante, poichè lì tutto si concentrava in un lieve respiro che faceva vorticare le tenebre sotto di esso, come un rapida di un torrente verticale. Non sarebbe servito cibo, non sarebbe servita acqua, non sarebbe servita luce, non sarebbe servita speranza: in quel luogo tutte le illusioni che vengono definite Vita, si spezzavano sotto la forte morsa del Deserto, un silenzio pesante come un'intera isola. Come quando ci svegliamo, quando assaporiamo quei cinque secondi di incoscienza, dove viviamo solo quel momento, solo per quel momento. E la magia, ricreata, si risveglia in quelle condizioni, annullando ogni aspettativa, e allungando l'Eterno, come mani eteree che sfiorano il volto del ragazzo. Quell'eterno che racchiude in se tutto, saggezza e ottenebranza. Ku. Vuoto, contrario di Niente. Era tutto lì, dove non vi era niente. Si era creato il Silenzio, quel silenzio, quello che racchiude e vale come tutte le parole di questo mondo. ... "
La porta si aprì di scatto, sbattendo la presa sull’uscio,facendo vibrare la carta bianca di cui era fatta. Nella stanza buia si sparsero vibrazioni, di un rumore secco e sottile e fragile allo stesso tempo, come di una farfalla colpita a morte da un ventaglio di riso. Dietro la porta, oltre la soglia, si distingueva una figura alta, fiera e dispendiosa di dignità, piena di un maturo orgoglio. Era messa in risalto dalla penombra del corridoio retrostante, che era più chiaro del completo buio della stanza. Hidan si volto di scatto, prima con i solo volto e poi con il corpo, compiendo una sorta di tai-sabaki, gettandosi subito a terra, chinato con la fronte sul nudo legno. Come un vero e proprio sabaki, non era altro che una sequenza di mosse mirata a ridurre il potenziale territorio avversario, spesso ricorrendo al sacrificio di alcune pietre, realizzando una forma leggera, in grado di sfuggire al pericolo di cattura. I gomiti appoggiati sul pavimento, messi in linea retta con la fronte, mentre gli occhi chiusi, avevano le iridi umide che vedevano lampi gialli su uno sfondo nero. La figura mosse un passo, portando avanti prima il piede sinistro, poi il destro, sulla via dell’altro, componendo una ritmica onomatopea che fu visualizzata dal ragazzo. dalla sagoma pochi particolari risaltavano, quali l’hakama, il kataginu, i geta, le braccia conserte, e dei capelli ispidi, che davano alla testa la sembianza di un porcospino. Avanzò passi lenti, facendo tuonare i geta sul legno come lampi a ciel sereno, in quel silenzio nero. Si fermò davanti al letto, mezzo disfatto, e abbassò la testa. Restò in quella posizione alcuni istanti, poi la rialzò, e continuò l’avanzata verso Hidan. Si fermò a due metri da lui, segnando la fine della sua camminata con un colpo di geta. La voce tuonava impetuosa nel silenzio come un colpo di scalpello sulla nuca. Faceva parte di una lunga tradizione, che implicava una rigida disciplina nell’insegnamento. Hidan si riscosse un secondo, forse aveva ottenuto ciò che voleva. Aprì gli occhi, e levò solo la testa, per inquadrare quella figura ombrosa che aveva di fronte. I gomiti pian piano si svolsero, aprendo l’articolazione, e sollevarono il petto da terra. Si mise in ginocchio, portando le mani sulle cosce. Atto di estrema riverenza, quando chinò ancora la testa.O-tou-san... Il padre restò a guardare proprio figlio, quasi gli fosse dovuto un trattamento del genere. In quelle situazioni si rispecchiava tutta la disciplina inferta ai discendenti di quella nobile casata. Non avrebbero mosso ciglio senza il consenso del proprio superiore, esso sia il padre o il Divino direttamente. Il padre svolse le braccia intrecciate sul petto, portando le mani lungo i fianchi. Si preparava a una conversazione. Non permetteva al figlio di guardarlo dritto negli occhi, grazie all'oscurità della camera, particolare molto rilevante per la situazione. Sarebbe stata la voce del Buio.Hai... CITAZIONE - Ho deciso di farti cominciare corsi formali per divenire un ninja, così potrai affermarti nella Società... Hai... CITAZIONE - Purtroppo la burocrazia non permette a privatisti il diploma Accademico, quindi ti ho iscritto all’Accademia di Kiri... Detto questo si voltò, dirigendo il volto verso la porta, mentre il figlio restava ancora in ginocchio, ad ascoltarlo assiduamente, con la stessa volontà con cui un kenshi affetta una canna di bambù con il Colpo con il Corpo.CITAZIONE - Frequenterai un Corso assieme ad altri ragazzi come te, quindi vedi di essere normale ai loro occhi...rivolgiti all’insegnante con l’appellativo di Dono, probabilmente sarà persino più scarso di te...non dare confidenza a nessuno, che ti si rivolga da amico o con altri intenti...rispondi con fermezza senza esitare...ricorda l’Hejo che tanto ti ho insegnato...e fai il tuo meglio, mi raccomando, ho fiducia in te...credi di essere pronto? Hidan si rigettò a terra nuovamente, prostandosi ai piedi del padre, poggiando la fronte a terra.Hai, so desu...non ti deluderò... Il padre annuì, inspirando profondamente, segno di convinzione.CITAZIONE - Bene...fra tre giorni alzati e prendi le indicazioni sul tavolo...ora vai a fare trenta giri attorno alle mura di Kirigakure, e non azzardarti a tornare prima che il Sole sia sopra la tua testa... Con questo voltò appena il volto di pochi gradi, in modo che il figlio lo vedesse di profilo. Un profilo acuto, perfetto: fronte dritta, naso normale, mento non ben rasato, e le labbra, perfette anche quelle, che accennavano un sorriso impetuoso, a metà tra sdegno e diffamazione. CITAZIONE - E mi raccomando, accentua bene il tuo “hai”...sarebbe sgarbato dirlo come una comune affermazione, deve esprimere dignità e rispetto verso chi ti parla...non come hai fatto con me fino ad ora... Hidan si scosse a sentire ciò, e premette ancora di più la fronte a terra.Hai! CITAZIONE Musashi-Kensei >> " ... A errore non si risponde mai “Sumimasen”...sarebbe un secondo errore...a errore, si risponde con la correzione... " Ore 5 e trentaquattro minuti. Camera di Hidan. Finestra semiaperta; la luce che fluisce dentro rimbalza sul pavimento di ciliegio e dona alle parete panna una colorazione bordeaux. Il ragazzo era davanti all’armadio a parete, con l’anta sinistra completamente spostata sull’anta destra, in modo da scoprire metà scanzia. Era alta circa due metri, con un mensola nella parte superiore, a mezzometro dal soffitto dell’armadio, e un’asta di legno che l’attraversava a metà, che fungeva da appendi abiti. Per l’appunto, vi erano appesi una moltitudine di attaccapanni in legno, ognuno occupato da un capo diverso. Il ragazzo stava scrutando alcuni capi azzurrini, scostando gli attaccapanni con la mano sinistra, mentre nella destra impugnava un obi grigio che arrivava al pavimento. Indossava solo un’hakama e un haori, entrambi neri. Si era appena lavato, e le vesti erano bagnate, per aver raccolto l'acqua ancora presente sulla pelle. Dall’haori, completamente aperto, si vedeva il petto nudo, mostrando con un certo impeto le sagome dei muscoli. Non erano granché, ma erano già ben sviluppati per la sua età. Voltò il busto, e lanciò l’obi che impugnava sul futon, anche questa volta con l’angolo aperto. Il drappo veleggiò un po’ in aria, andando poi ad accasciarsi dolcemente sulla fodera bianca. Estrasse dei vestiti, tirandoli fuori con la mano sinistra, e distendendoli sull’avambraccio destro. Poi si voltò, battendo i piedi scalzi sul legno, e andò verso il materasso. Si chinò sulle ginocchia, distendendo con cura gli abiti sul lenzuolo bianco. Poi si rialzò in piedi e si tolse ciò che aveva addosso, restando completamente nudo. Chinò in avanti il busto, e afferrò uno a uno gli abiti che aveva disteso, vestendoli. Ovviamente, si cinse per ultimo l’obi grigio che aveva preso con se all’inizio. Indossò una yukata di un incerto azzurro-grigio, un kimono nero, un’hakama, nera anch’essa adornata da righe bianche verticali, l’obi grigio, e sopra a ciò, un haori, nero come tutto il completo, presentante il massimo numero di kamon. Cinque, per la precisione, tutti hinata mon di Taka no Ha, le piume di falco: erano segno di eleganza e dignità, e, rappresentate in quel modo e in quella maniera, simboleggiavano una formalità massima, quasi un distacco vero e proprio dalla realtà circostante vivibile. Indossò poi jika-tabi neri, alti, e dei geta, in larice bianco. Infilò un ventaglio nell'obi. Si sistemò bene gli ultimi particolari e si avviò verso il corridoio. Spalancò lo shoji, e percorse il corridoio, sorpassando un altro paio di shoji su ogni lato. Scese le scale e si diresse alla sala da pranzo. Era una stanza grande e spaziosa, con le pareti decorate di legno laccato rosso fino a un metro da terra, e con pannelli dipinti di piante di ciliegio in fiore. Alcuni mobili agli angoli, e una grossa tavola bassa al centro, con attorno otto zabuton rossi. La stanza era vuota, ma in realtà l’intera casa sembrava deserta. Sulla tavola, oltre a una busta sull’angolo a destra, vi erano serviti, in un largo bento laccato di nero, nigirizusushi, toro no sashimi, di taglio otoro, e alcuni onigiri. Hidan si accomodò su un zabuton, ripiegando puntigliosamente l’hakama dietro le ginocchia, inforcò le bacchette di legno con la mano destra, e cominciò a sgranocchiare fuori tutto, mantenendo sempre una buona dose di distaccatezza e superiorità, anche se non osservato. Ormai era entrato nella sua natura. Ebbe finito, depose le bacchette e prese il fazzoletto di carta a fianco del vassoio, e si pulì la bocca. Fatto ciò, posò lo sguardo sulla busta bianca alla sua destra. Depose anche il fazzoletto e allungò le mani verso di essa. La prese tra pollice e indice con la mano destra, l’aprì, e lesse i kanji con lenta fierezza. Finita la lettera, guardò dentro la busta, ed estrasse un paio di banconote. Spiccioli. Nella lettera il padre diceva dove recarsi per presentarsi all’Accademia. Hidan si alzò, e uscì dalla casa. Attraversò il piccolo giardinetto davanti casa, e uscì in strada. Una nebbiolina semifitta lasciava nel dubbio il paesaggio circostante. Cominciò a camminare lentamente verso l’Accademia. Avrebbe camminato per diverso tempo, quindi decise di passare per la via del mercato. Lì si fermò alla prima bancarella, spendendo tutti gli spiccioli ricevuti per una barchetta di takoyaki. Prese uno stecchino alla volta e, stando attento a usare solo i denti per non sporcarsi le labbra, li mangiò tutti. Non si ingozzò mai, ne caddè in atteggiamenti alteri al galateo. Ovunque aveva sempre quell'aria molto altezzosa. Passeggiò a lungo su e giù per la città, sempre scrutando con curiosa vivacità gli edifici attorno, fermandosi ogni tanto a osservare particolari, come una bancarella, un manifesto o anche una persona. Se la stava prendendo veramente comoda. I geta continuavano a sbattere sul selciato delle vie, formando quel famoso suono, detto karakon. Il ticchettio dell'acqua sulla pietra. Era quasi un'arte, la maniera in cui si sbatteva leggiadramente tali zoccoli sul suolo. Era un segno di grande vanità, perchè più il rumore era alto, più era udibile dall'esecutore. Arrivato all'Accademia, entrò, salendo le scale, svoltando angoli, percorrendo corridoi. Fino a trovarsi davanti alla porta destinata. Lesse i kanji sulla tabella posta in alto sopra la porta.<< Aula 6... >> Socchiuse gli occhi e inspirò profondamente, cercando di rimenare le parole dette dal padre.<< Fermezza...Fermezza e Dignità... >> Schiuse gli occhi violetti, alzò la mano sinistra, e poggiò le dita sulla porta. L'aprì in maniera vigorosa. Entrò nella stanza, senza guardarsi attorno, si voltò e chiuse la porta. Si voltò nuovamente, inquadrò l'intera stanza, scrutando gli altri allievi, e guardo l'insegnante. Nel voltarsi, battè con assoluto vigore i sandali, facendo risuonare un karankoron alquanto impetuoso, come ad affermare la propria presenza. Chiuse la mano sinistra a pugno, e congiunse le nocche con il palmo della mano destra, aperto come un fiore. Era il saluto più adatto, abbastanza formale, non del tutto rispettoso. Chinò l'intero busto in avanti, nella direzione di quello che si delineava come il maestro. Sebbene occupasse la cattedra, Hidan non diede per scontata la sua identità, e si limitò a salutare così. Poi si voltò verso gli altri due, e fece lo stesso, ruoteando sempre sullo stesso asse. Hidan desu... Si riteneva presentato. Nell'inchinarsi, il ventaglio che aveva all'obi formò delle pieghe sul kimono, che andarono a risistemarsi nella loro conformazione iniziale. Fatto questo, andò a sedersi nel primo banco a sinistra della cattedra, facendo risuonare bene i geta. Era il simbolo della sua distaccatezza dal mondo reale, da una Società conformata, e da una confidenza troppo profonda. Una volta seduto, sempre dopo i soliti rituali quali la sistemazione delle pieghe di hakama e haori, estrasse il ventaglio con la mano destra, e lo usò per indicare la persona presente alla cattedra. Vi puntò sguardo e ventaglio; il secondo serviva per non dover puntare direttamente il dito verso la persona, il che sarebbe stato segno evidente di sgarbo e sdegno, nonchè un presa in giro, pregiudicando di rango inferiore un uomo.Sensee desu-ka? CITAZIONE " ... Chi Hannya Haramita ze dai jin shu ze dai myo shu, ze mujoshu, ze mutodo shu no jo issai ku shinjitsu fu ko ko setsu Hannya Haramita shu soku setsu shu watsu yatei gyatei hara gyatei hara so gyatei boji sowaka Hannya ShinGyo... " << Hidan
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